Antiriciclaggio: alto rischio ma ancora scarsa sensibilità

A distanza di dieci anni dalla prima applicazione della normativa antiriciclaggio, ci troviamo ancora nella fase dei timori, delle incertezze e del rifiuto da parte del mondo dei professionisti; complici la continua evoluzione della disciplina e una serie di criticità applicative tuttora irrisolte, i professionisti italiani hanno maturato in questi anni una sorta di “repulsione” per gli obblighi antiriciclaggio, sperando in una futura semplificazione degli adempimenti o forse semplicemente che i controlli non interesseranno mai i loro studi.

Tale approccio trova conferma nei dati resi noti dalla Guardia di Finanza che, durante le ispezioni, continua a riscontrare casi di omessa istituzione dell’archivio unico, violazioni degli obblighi di identificazione del cliente, mancate comunicazioni di irregolarità sui contanti oltre che omesse, ritardate o incomplete registrazioni dei dati relativi a clienti e prestazioni. Nonostante continuino a fioccare sanzioni per violazioni delle norme antiriciclaggio, ci si appella ancora ai principi inviolabili, al cardine del rapporto fiduciario che lega professionista e cliente, al segreto professionale e al fatto che la categoria non vuole sentirsi scaricati sulle sue spalle obblighi e responsabilità più di natura pubblicistica. L’aggrapparsi all’etica professionale per affermare il massivo rifiuto alla normativa antiriciclaggio è in parte un alibi, che mostra tutti i suoi limiti se si considera ad esempio il fatto che il legislatore ha opportunamente garantito il “diritto alla difesa” prevedendo a tal fine un espresso esonero dagli obblighi di segnalazione in specifici casi.

Come evidenziato anche dalla DIA nella sua relazione, la scarsa collaborazione del mondo dei professionisti è da rinvenirsi, invece, proprio nella maggior personalizzazione del rapporto con il cliente e nell’atteggiamento di riserbo che si tende ad assumere in relazione alle notizie apprese nel corso del rapporto. L’attività di un professionista è profondamente diversa da quella posta in essere da una banca, sia per quanto concerne le modalità tecniche (le operazioni allo sportello o di corrispondenza), sia avendo riguardo al rapporto fiduciario che lega il professionista al proprio cliente; esso, infatti, opera esclusivamente in forza di un rapporto professionale in cui l’elemento fondante è la fiducia. Quando però ci troviamo di fronte ad una mancata compilazione del registro antiriciclaggio, non c’entra il rapporto fiduciario, ma è solo una questione di scarso interesse o superficialità nei confronti di un adempimento che richiede tempo per il corretto espletamento, l’impiego di risorse umane ed economiche e che non potrà di sicuro essere fatturato al cliente. Questa tendenza della categoria trova ampio riscontro nell’analisi di conformità normativa condotta da Alavie e pubblicata di recente dal quotidiano “Italia Oggi” dove balza subito all’occhio l’elevato tasso di scopertura media degli studi professionali che si aggira intorno al 50%.

Scopo dell’analisi era verificare, all’interno di un campione di 500 studi professionali sparsi sul territorio italiano, il grado di allineamento alla normativa antiriciclaggio e i dati emersi non sono sicuramente confortanti: come si spiega il fatto che dopo 10 anni dall’entrata in vigore della normativa riscontriamo ancora che circa il 30% dei professionisti non svolge in modo completo l’adeguata verifica della clientela e non compila e gestisce correttamente l’AUI? Scendendo più nel dettaglio è emerso che solo metà del campione identifica la figura del “titolare effettivo”, che il 59% dei professionisti non compila una scheda di valutazione del rischio per ogni prestazione professionale svolta e che il 41% non svolge un controllo costante sul cliente nel corso del rapporto continuativo.

A questi dati si aggiunge una non corretta gestione degli aspetti relativi alla privacy correlati all’antiriciclaggio, una mancanza di procedure interne e deleghe nei confronti dei dipendenti e uno scarso interesse per la formazione, soprattutto nei confronti dei collaboratori di studio.

I professionisti, quindi, oggi, a distanza di tutti questi anni di discussioni, di approfondimenti, di convegni, di sollecitazioni e di avvertimenti, non solo dovrebbero aver ben appreso i meccanismi peculiari della normativa antiriciclaggio, ma dovrebbero avere la piena consapevolezza del rischio concreto di cadere in condotte sanzionabili.

I dati emersi dall’indagine sembrano, invece, confermare la tendenza opposta; ancora una scarsa sensibilità nei confronti di una normativa che sembra aver affibbiato l’ingrato ruolo di “controllare” alla categoria dei professionisti. Si arriva quindi al dato eclatante del 90% dei soggetti che non effettua segnalazioni di operazioni sospette o del 64% che non comunica al MEF le violazioni al contante.

Nonostante la normativa non obblighi i professionisti a svolgere autonome attività investigative, indagini esterne o comunque estranee all’adempimento dell’incarico, l’antiriciclaggio continua ad essere avvertito come una “spina nel fianco” e, pertanto, gestito con superficialità e poca attenzione. Probabilmente da parte dei professionisti è avvertita una sorta di sproporzione tra gli obblighi richiesti e l’utilità di un sistema di prevenzione così impostato che li porta al punto di avere l’impressione che gli adempimenti loro richiesti abbiano più il fine di aumentare le incombenze formali che di prevenire effettivamente operazioni a rischio riciclaggio. Ma se queste sono le ragioni dei mancati adempimenti, esse certamente non giustificano il professionista; l’auspicio è che il recepimento della IV Direttiva europea diventi l’occasione giusta per ridiscutere gli aspetti critici che connotano le attuali disposizioni in materia, tenendo conto delle peculiarità dei professionisti rispetto agli altri soggetti obbligati. Sarebbe opportuno, infatti, che le procedure antiriciclaggio da porre in essere, tenessero in considerazione le differenze di scala in termini di strutture organizzative e venissero impostate, dunque, nel pieno rispetto del “principio di proporzionalità degli obblighi”.

 

Le competenze dei nostri consulenti sulla normativa Antiriciclaggio e l’esperienza maturata gestendo l’antiriciclaggio per oltre 2.000 studi professionali, fanno di Alavie la società di consulenza ideale per garantire gli adempimenti antiriciclaggio negli studi professionali. Contattaci un nostro consulente sarà a tua disposizione.

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