La Legge 186/2014 si colloca in un contesto di lotta internazionale all’evasione: come ribadito in premessa anche dalla circolare dell’Agenzia delle Entrate del 13/03/2015, la procedura di Voluntary Disclosure risulta pienamente coerente con le linee guida tracciate dall’OCSE in tema di contrasto agli illeciti fiscali internazionali. Nell’ambito della lotta alla “fuga dalle imposte nazionali” si è ritenuto che lo scambio di informazioni fiscali costituisse un mezzo determinante per combatterla; a tal proposito, la legislazione comunitaria ha adottato lo scambio automatico di informazioni OCSE come modello standard (Common Reporting Standard) nell’ottica di un miglioramento della compliance fiscale internazionale. Tali impulsi sommati alla legge italiana sulla Voluntary Disclosure hanno determinato importanti risultati: primi tra tutti i tre accordi firmati dal Governo Italiano rispettivamente con Svizzera, Liechtenstein e Principato di Monaco relativi al reciproco scambio di informazioni in materia fiscale che hanno posto fine al c.d. segreto bancario.
Gli accordi rappresentano il risultato di anni di trattative ed imprimono un significativo stimolo alla regolarizzazione dei capitali illecitamente detenuti all’estero che cesseranno di essere considerati come provenienti da Paesi “Black-List”; ciò comporterà evidenti e notevoli vantaggi per chi potrà beneficiarne. Ai fini della procedura di Voluntary Disclosure, va prestata, infatti, particolare attenzione ai periodi di imposta accertabili che variano sensibilmente a seconda dello stato nel quale sono stati “collocati” gli investimenti; l’occultamento dei redditi nei Paesi “Black-List” legittima l’applicazione di sanzioni maggiorate (sanzione del 6% anziché del 3%), oltre il raddoppio degli ordinari termini di accertamento (periodo 2004-2013 anziché 2009-2013). Queste intese che si sommano agli accordi stipulati con San Marino, Lussemburgo e Città del Vaticano e alle Convenzioni con Filippine, Ecuador, Emirati Arabi Uniti, Isole Mauritius, Hong Kong e Singapore precedenti addirittura all’approvazione della Legge 186/2014, mutano pesantemente la geografia di riferimento per la Voluntary Disclosure e le rotte dei paradisi fiscali; nella mappa delle giurisdizioni “oscure” restano così, prevalentemente, solo stati extra europei. Va precisato che lo Stato Vaticano non era mai entrato nella Black-List italiana e pertanto non necessitava di stipulare un accordo entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge 186/2014; tuttavia, anche l’Italia e la Santa Sede hanno sottoscritto una convenzione sullo scambio di informazioni in ambito fiscale.
Vi sono, infine, alcuni Paesi che hanno firmato con l’Italia una Tiea (Tax Information Exchange Agreement, ovvero un accordo di matrice Ocse sullo scambio di informazioni tra Paesi che non hanno siglato convenzioni contro le doppie imposizioni): si tratta di Bermuda, Cayman, Gibilterra, Isole Cook, Guernsey, Isola di Man e Jersey. Una serie di intese che hanno permesso, quindi, di cancellare dalla “Black-List” dei paradisi fiscali una serie di Paesi che finora risultavano molto appetibili agli evasori anche grazie alla vicinanza geografica e che per il futuro potrebbero metterci al riparo da nuove “fughe”. Nonostante ciò, la mappa mondiale dei paradisi fiscali resta ancora molto ampia e variegata: parliamo di piccole isole della zona caraibica (Antigua, Barbuda, Antille Olandesi, Bahamas, Barbados, Isole Vergini,..), di Paesi di entità più consistente (Costa Rica, Belize, Panama,..), di isole pacifiche (Tonga, Samoa, Nuova Caledonia, Salomone, Isole Marshall, Polinesia Francese,…), di realtà dell’Estremo Oriente (Taiwan, Brunei, Macao, Malaysia,..) e del più Vicino Oriente (Libano, Bahrein, Oman, Gibuti,…) ed altre realtà come Uruguay, Liberia, Seichelles e Maldive. In Europa del tutto anomala resta la sola condizione del Principato di Andorra, anch’esso inserito ancora a pieno titolo nella Black List.
In definitiva, una lista in continua evoluzione che incide in modo pesante sul costo della regolarizzazione e che è frutto dell’offensiva nazionale e internazionale contro il segreto bancario e i paradisi fiscali. Lo scenario è dunque chiaro: mentre gli sforzi dell’UE, dell’OCSE, del G-20 e del Gafi si concentrano nel mettere a punto le strategie per la lotta all’evasione transnazionale e per la regolarizzazione dei capitali occultati all’estero, si moltiplicano gli accordi bilaterali o multilaterali per lo scambio di informazioni che hanno permesso di scardinare anche quelle realtà che fino a pochi anni fa erano considerate vere e proprie roccaforti del segreto bancario. Un forte elemento di rottura con il passato che avrà notevoli ripercussioni anche in ottica prospettica: sarà sempre più difficile che attività finanziarie detenute all’estero non siano conoscibili agli organismi di controllo. Si tratta ormai di un processo irreversibile che comporterà la necessità per i singoli contribuenti di esaminare la propria posizione e di valutare le conseguenze, attuali e future, della mancata regolarizzazione.